Formazione: un sistema da riformare
(Novembre 2007 - numero speciale)

In un mondo perfetto la formazione serve a tutti quelli che vogliono trovare un lavoro, cambiarlo, aggiornarsi e riqualificarsi per migliorare la propria posizione, lavorare meglio e con maggiore sicurezza e non rischiare di perdere il proprio impiego.
In un mondo perfetto tutti i lavoratori dovrebbero essere formati su quello che devono saper fare per evitare che lo facciano male e che mettano a rischio la propria salute e il prestigio dell’azienda per cui lavorano.
La formazione dovrebbe essere incentrata sui contenuti, pertanto l’ente che la eroga dovrebbe avere la massima attenzione a contenuti, metodologie e risultati, rivolgendosi tanto a giovani che a disoccupati, occupati e piccoli imprenditori.
Se volete sapere come funziona questo mondo perfetto date un’occhiata al sito www.oph.fi
Stiamo parlando della Finlandia, un paese in cui le tasse sono più alte delle nostre e l’economia cresce più della nostra.
In cambio delle tasse gli imprenditori hanno un sistema in cui la pubblica amministrazione funziona e ogni cittadino è formato per tutto l’arco della sua vita e aiutato a progredire nelle sua carriera e ogni impresa riceve formazione per tutti i propri bisogni. Questo sistema presenta anche qualche rigidità, costa molto, ma consente di produrre beni e servizi di qualità sempre più alta, rendendo sempre più ricco quello che cinquant’anni fa era un paese povero.
In Italia succede tutto il contrario: la maggioranza dei lavoratori che entrano per la prima volta nel mondo del turismo non ha ricevuto una formazione specifica adeguata, o addirittura nessuna formazione.
Né riceveranno successivamente adeguati aggiornamenti.
Gli enti che erogano formazione sono dedicati o alla formazione iniziale (le scuole) o alla formazione dei disoccupati o a quella degli occupati.
Pochissima è la formazione per i piccoli imprenditori.
Per non parlare dei percorsi formativi che spesso sono frutto più della fantasia che dei bisogni delle piccole imprese.
Eppure nonostante queste pessime premesse il livello medio delle competenze e conoscenze di chi lavora nel turismo in Italia è buono.
E’ tutto merito della grande tradizione italiana che trasforma ogni buon lavoratore in un piccolo imprenditore che formerà da solo i suoi dipendenti insegnandogli a “rubare” il mestiere con gli occhi.
Quello che pomposamente altrove chiamano “Training on the job”.
I dati parlano chiaro: l’arretratezza del sistema formativo è una delle emergenze che rallentano la crescita del paese.
E non parliamo solo della formazione professionale dedicata ai disoccupati, in cui l’Italia non è mai riuscita a costruire un sistema nazionale e adesso vengono predisposti ventuno sistemi regionali che istituzionalizzeranno le differenze qualitative tra le regioni, comunque tutti sistemi con risorse bassissime.
Parliamo innanzitutto di un’altra carenza strutturale che nessuno vuole vedere: la scuola secondaria superiore italiana non riesce a portare al compimento del diploma quasi il 30% dei giovani.
E’ la più alta percentuale dell’Europa “Ricca” e ci lascia in compagnia di Malta, Portogallo, Spagna e Grecia superati addirittura dalla Romania e dalla Bulgaria, per non parlare dei paesi Baltici e degli altri paesi dell’Est Europeo, in cui la scuola è una cosa seria.
La tabella che segue è purtroppo assolutamente ufficiale e recente, visto che è tratta dalla Pubblicazione della Commissione Europea “La situazione sociale nell’Unione Europea 2005 2006” ed è stata pubblicata lo scorso settembre.

I dati sono chiarissimi: il nostro sistema secondario superiore non funziona per nulla per un giovane su tre che neppure vi accede o ne viene respinto.
Da notare la grave sperequazione tra uomini e donne, che vede i giovani maschi italiani significativamente inferiori alle donne.
E’ chiaro che il segmento scolastico da riformare profondamente è quello professionalizzante: negli altri paesi è questo segmento a trattenere nel mondo della scuola i giovani che da noi si escludono o vengono esclusi.
Dobbiamo creare un segmento scolastico professionalizzante che da un lato accompagni verso il lavoro e dall’altro consenta continua crescita professionale e culturale e anche l’accesso alle Università e al resto della formazione di terzo livello.
Ecco ad esempio lo schema del sistema finlandese che citavo prima.

Visto che il turismo continua ad assorbire ogni anno più occupati e funge anche da primo impiego per molti che poi cambieranno lavoro, è anche sul turismo che le scuole superiori dovrebbero investire di piu’.
Invece di creare veri percorsi flessibili tra scuola e lavoro, ci si limita a gravare le imprese di sempre maggiori oneri nel caso di assunzione di apprendisti, scaricando sul mondo del lavoro costi e compiti che spettano ad altri.

La generale sottovalutazione del problema della carenza di formazione di base deriva da una scarsa conoscenza dei suoi effetti.
Ormai dobbiamo considerare, a livello europeo, la formazione secondaria superiore come parte della formazione di base e, comunque, come mostra con chiarezza la tabella che segue, maggiore è la formazione minore è la disoccupazione, in modo assolutamente geometrico.

Il nostro sistema scolastico superiore non riesce neppure a coinvolgere oltre il 20% dei giovani nonostante esista un obbligo formativo che dovrebbe almeno indurli a frequentare i primi anni, come si vede dalla tabella che segue che impietosamente mette l’Italia in coda.

I giovani che non entrano nei percorsi della scuola superiore o che ne vengono respinti rimarranno per sempre fuori dalla possibilità di ricevere un percorso formativo che consenta un titolo di terzo livello e riceveranno ben poca formazione formale nella loro vita lavorativa.
Grandi sforzi e grandi risorse sono state investite nell’ideare percorsi post-diploma che avrebbero dovuto essere professionalizzanti come ad esempio gli IFTS e le lauree brevi, con risultati insoddisfacenti per la gran parte, e soprattutto eludendo il problema principale che riguarda invece la formazione di milioni di persone che non hanno alcun momento per organizzare le conoscenze apprese giorno per giorno lavorando e che spesso mancano di alcune conoscenze di base a causa del precoce abbandono scolastico.

Il nodo sono le risorse
Nella tabella che segue l’OCSE mette a confronto i dati sulla spesa per l’istruzione, la formazione dei disoccupati adulti e quella degli occupati adulti, a livello mondiale.
Nel 1994 l’Italia spendeva il 4,7% del propri prodotto interno lordo per l’istruzione e l’università, in media con altri paesi ricchi ma decisamente sotto i paesi del Nord Europa.
L’emergenza è nella formazione per adulti: un ventiduesimo della spesa della Finlandia!
Un trentesimo della Danimarca!
E zero formazione per occupati.

In questi ultimi 13 anni qualcosa si è fatto ma è ancora molto poco, salvo gli interventi dei Fondi Interprofessionali, che però sono finanziati ora integralmente da risorse dei lavoratori e degli imprenditori.

Ancora nel 1999 le autorità italiane neppure fornivano i dati sulla formazione per occupati, come si vede nella tabella che segue.

E i dati più recenti di Eurostat sulla spesa relativa a istruzione e formazione ci vedono sempre in coda.

I master
Perché un sistema formativo possa essere stimolato a migliorare sempre di più i propri servizi, deve avere dei riferimenti di eccellenza che si pongano come punti di riferimento, quasi una stella per il navigante.
Questo è il compito che dovrebbero avere i master.
Una nazione a forte vocazione turistica come l’Italia, con un mix di tradizioni enogastronomiche e culturali unico al mondo (invidiato e copiato) sarebbe logico avesse master di eccellenza che richiamano le elite del turismo italiano e mondiale.
Invece quando gli esperti del settore vogliono indicare un esempio da seguire citano college inglesi, master statunitensi e, soprattutto, l’Ecole Hoteliere de Lousanne (www.ehl.ch).

Non deve stupire, mettiamo a confronto il contesto internazionale (a partire dai docenti) e la rilevanza dei risultati dell’EHL o della Cornell University (www.hotelschool.cornell.edu) con gli omologhi italiani e capiremo perché loro sono citati come esempi e attraggono studenti stranieri (e anche italiani) e noi no.

Il sito www.guidamaster.it censisce ben 55 master, alcuni dei quali realizzati in più sedi, prevalentemente sotto il cappello di una o più università.

Anche questo sistema sembra da riformare profondamente, sostenendo meno master ma di qualità molto maggiore.

Una modesta proposta
Da subito dobbiamo chiedere con forza che vengano destinate maggiori risorse al sistema e, soprattutto, che i molti soggetti che lavorano del tutto distinti per la formazione nel turismo diventino un sistema.
Una proposta modesta ed economica: trasformiamo le migliori tra le nostre scuole superiori in College e trasformiamoli in un punto di riferimento per la formazione di tutti, dai disoccupati agli imprenditori.

Nel Regno Unito, anche lontano dalle grandi città (come nell’esempio che vedete) i college sono al centro della formazione specialistica per giovani, adulti, imprenditori e lavoratori: imitiamoli.






Tito Livio Mongelli
titolivio@galileo.it