Il Telelavoro dal punto di vista giuridico


Il Telelavoro tra lavoro autonomo, subordinato e parasubordinato



Essendo privi di una loro specifica categoria legale, i telelavoratori sono inevitabilmente chiamati a confrontarsi con il difficile processo di inquadramento nell’ambito delle figure giuridiche tradizionali. Si tratta di un processo ermeneutico che tende ad attribuire al telelavoratore uno degli status giuridici contemplati dall’ordinamento giuridico, astrattamente rispondenti alla fattispecie concreta. Per compiere questa operazione si deve osservare il concreto atteggiarsi del rapporto, anche difformemente da quanto statuito nominalmente dalle parti nel contratto di lavoro.

La prima alternativa che si pone è quella tra autonomia e subordinazione. La distinzione tra lavoro autonomo e lavoro subordinato è di grande importanza nell’ambito del diritto per via del particolare regime di tutele e garanzie che contraddistinguono il lavoro prestato alle dipendenze altrui. Non è semplice tracciare una linea di demarcazione netta tra le due tipologie di lavoro, soprattutto in una fase storica come quella attuale in cui la legislazione laburistica (in controtendenza rispetto all’approccio "difensivistico" tipico degli anni settanta) tende a traslare il confine del lavoro dipendente verso l’area del lavoro indipendente o autonomo (si pensi, ad esempio, alla disciplina del lavoro interinale).

Diversi possono essere i criteri sui quali si basa la distinzione tra le due forme di lavoro: l’assoggettamento o meno del lavoratore ai poteri di direzione, la presenza o l’assenza del coordinamento e del controllo esercitato dal datore di lavoro; l’inserimento o meno del lavoratore nella struttura organizzativa dell’azienda; la presenza o meno (nella prestazione d’opera) delle spese e del rischio tipici di impresa; la proprietà dei mezzi di produzione; l’osservanza di un orario di lavoro giornaliero o settimanale, così come la concessione di giorni di ferie e di riposo senza incidenza sulla retribuzione.

La giurisprudenza corrente tende a configurare i rapporti di lavoro come autonomo o dipendente basandosi sulla reale volontà delle parti contraenti, salvo che la situazione di fatto osservabile in concreto non lasci presumere diversamente. Ad esempio la Corte di Cassazione ha configurato come lavoro dipendente i lavori di pony express, di fattorino e di agenzia di recapito lettere e plichi, pur qualificato dalle parti come lavoro autonomo. In alcuni casi è il legislatore stesso che si preoccupa di fissare il criterio sulla cui base deve delinearsi il confine tra lavoro subordinato e lavoro autonomo. Ad esempio, l’art. 1 della L. n. 877/1973 definisce la figura del lavoratore subordinato a domicilio facendo riferimento al criterio della c.d. "subordinazione tecnica" piuttosto che al criterio del potere di direzione, al criterio del rischio di impresa, o a quello dell’orario di lavoro. Un altro esempio è costituito dai disegni di legge sul telelavoro che stanno transitando in Parlamento. Questi tendono ad inquadrare il telelavoro come rapporto di lavoro subordinato o parasubordinato basandosi sul criterio del potere di direzione, indirizzo e controllo esercitabile dal datore di lavoro sul telelavoratore oppure rinviando, di volta in volta, a varie leggi in materia di subordinazione e parasubordinazione.

Se è vero che l’ordinamento giuridico tende a tutelare il lavoratore dipendente a scapito del lavoratore autonomo, talvolta riconosce l’applicabilità di una parte della normativa di tutela laburistica anche nei confronti di quest’ultimo: ciò avviene quando si configura un rapporto di lavoro parasubordinato. Questa fattispecie ingloba quelle prestazioni di lavoro autonome caratterizzate da continuità, coordinamento e prevalente personalità della prestazione.

Il telelavoro è un fenomeno estremamente difficile da afferrare e classificare in termini giuridici, perché spazia da chi offre servizi informatici con gestione pienamente autonoma della propria attività a chi svolge nella sua abitazione lo stesso lavoro che svolgeva in azienda, in modo ancor più controllato e vincolante. Le caselle all’interno delle quali è stato classificato fino ad oggi il diritto del lavoro sembrano insufficienti a contenere la fattispecie telelavoro, caratterizzato da una componente tecnologica in continua evoluzione e da una molteplicità di forme con cui si manifesta, per questo motivo da più parti si richiede l’intervento del legislatore ad innovare la materia. Al tempo stesso, però, un intervento legislativo nella presente fase, in cui si sta sviluppando questa modalità lavorativa, potrebbe ingessare l’istituto e condizionare eccessivamente le sue future manifestazioni.

Allo stato attuale delle cose, viene applicata al telelavoro la disciplina che meglio di attaglia alla fattispecie specifica, tra gli istituti giuridici esistenti:

  1. lavoro autonomo e di impresa;
  2. lavoro parasubodinato e lavoro a domicilio;
  3. lavoro subordinato.



Impresa e lavoro autonomo



La teleprestazione può essere qualificata come vera e propria attività imprenditoriale (ai sensi dell’art. 2082 c.c.) quando è effettuata da un soggetto che si avvale di una propria organizzazione composta di attrezzature e persone, la quale risulti prevalente rispetto all’apporto di lavoro personale. In tal caso si può parlare più propriamente di teleimprenditore piuttosto che di telelavoratore.

Non si può mancare di osservare che il telelavoro autonomo può rivelarsi strumento di elusione e terreno fertile di sottotutela qualora venga usato per dissimulare un rapporto di lavoro dipendente vero e proprio. Ciò avviene quando due aziende sono legate tra loro da un rapporto di dipendenza pressoché esclusiva, cosicché "l’auto-organizzazione" tipica del lavoro autonomo è una mera finzione che nasconde "l’etero-organizzazione" tipica del lavoro subordinato. Ad esempio i telelavoratori di un centro satellite potrebbero risultare formalmente dipendenti del centro satellite stesso, mentre in realtà sono alle dipendenze di un’impresa terza che formalmente svolge il finto ruolo di committente per i centro satellite. A tal proposito vale la tutela accordata ai dipendenti del centro satellite dalla L. n. 1369/1960 la quale prevede che, in presenza di una "intermediazione vietata", i lavoratori alle apparenti dipendenze dell’intermediario possono ritenersi lavoratori subordinati dell’unico vero imprenditore beneficiario della prestazione, con tutti gli effetti che ne derivano in termini di legge. In pratica non è facile dimostrare la sussistenza di una "intermediazione vietata", per cui vi è il rischio che questa categoria di telelavoratori imprenditori possa allargarsi a dismisura interessando per lo più figure economicamente deboli legate a filo doppio ad un’azienda madre e relegando ad un ruolo marginale l’attività di chi è dotato di una struttura organizzativa realmente autonoma e corre veri e propri rischi di impresa.

Al fine di inquadrare il telelavoro come attività autonoma si può anche ricorrere all’art. 2083 c.c. che definisce il piccolo imprenditore come soggetto che esercita "un’attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia". Questo articolo fa perno sulla prevalente personalità della prestazione professionale rispetto all’apporto di attrezzature e/o di manodopera esterna e rappresenta una categoria di lavoro autonomo in cui possono ricadere potenzialmente molte fattispecie di telelavoro in cui sia riconoscibile la prevalenza del lavoro personale rispetto all’apporto della strumentazione informatica di proprietà. Anche per il piccolo imprenditore (2083 c.c.), così come per l’imprenditore in generale (art. 2083 c.c.), la differenza rispetto al lavoratore subordinato sta nel potere di "auto-organizzazione", potere assolutamente inibito al lavoratore subordinato.



Lavoro parasubordinato



La figura del lavoratore parasubordinato si colloca a cavallo della figura del lavoratore autonomo e di quella del lavoratore subordinato. La tutele del diritto del lavoro mostrano un’intensità decrescente nel passare dal lavoratore subordinato a quello parasubordinato, fino a giungere al lavoratore autonomo. Il lavoratore parasubordinato costituisce una figura di confine che rende piuttosto problematica l’applicazione del diritto del lavoro. Se nell’area del lavoro autonomo rientrano soltanto quei lavoratori svincolati da rapporti troppo diretti con un unico committente, ancora più difficile è tracciare un confine tra lavoratore parasubordinato e lavoratore subordinato. Infatti, per il primo vi è la compresenza di un rapporto di committenza stabile con un certo potere di "auto-organizzazione". Sembra da escludersi, invece, l’ipotesi che il lavoratore parasubordinato debba sottostare a vincoli di esclusiva contrattuale al pari del lavoratore subordinato. La disciplina giuridica della parasubordinazione ammette l’applicazione di alcune norme relative alla tutela del lavoratore subordinato.

Il telelavoro è inquadrabile giuridicamente nella parasubordinazione quando il telelavoratore presta la sua opera continuativamente per un committente ma può organizzare liberamente la sua attività. Però, l’attività professionale deve essere organizzata prevalentemente sulla base del lavoro personale (rispetto all’apporto di attrezzature e a quello di dipendenti non appartenenti al nucleo familiare), altrimenti si ricade nella disciplina dell’impresa vera e propria (2082 c.c.).



Lavoro subordinato



Con questa definizione si intende il lavoro intellettuale o manuale prestato dalla persona del lavoratore alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore, senza che il lavoratore possa ricorrere autonomamente all’apporto di lavoro di terzi e senza che possa mettere in piedi una benché minima organizzazione autonoma di mezzi e attrezzature. Il codice civile non fa esplicito riferimento alla fabbrica come luogo esclusivo nella prestazione di lavoro subordinato, ammettendo implicitamente che la prestazione lavorativa possa avvenire anche in luoghi remoti, ma le attrezzature per telelavorare devono essere rigorosamente di proprietà dell’impresa e non è possibile che il telelavoratore benefici della collaborazione di familiari o di terzi. Ciò viene confermato dai contratti aziendali finora conclusi che qualificano la prestazione di lavoro come subordinata. Questi contratti prevedono, infatti, la fornitura della postazione di telelavoro (ed anche il costo delle bollette telefoniche) da parte dell’azienda. Nella nozione di lavoro subordinato rientra poi la possibilità per il datore di lavoro di eseguire un controllo diretto e continuo sul telelavoratore e controllare l’orario di lavoro, cosa che non è possibile nel lavoro a domicilio.

Per configurare giuridicamente come subordinata una situazione di telelavoro di fatto, da un po’ di tempo la giurisprudenza fa ricorso all’assoggettamento continuo del telelavoratore all’eterodirezione del datore di lavoro come dato essenziale di configurabilità della subordinazione. Tale vincolo, però, non può essere identificato col semplice assoggettamento del telelavoratore al vincolo tecnico del rispetto delle procedure imposte dal software di base con cui funziona il server dell’azienda madre. A ben vedere, il potere direttivo andrebbe individuato nella facoltà, che il datore di lavoro si riserva per contratto, di sostituire in qualsiasi momento il software del client (ossia il software applicativo in uso presso il telelavoratore). Può anche accadere che la facoltà di sostituzione del software non venga dedotta in contratto ma si realizzi de facto nel corso del rapporto.

Nell’attesa di una soluzione legislativa in materia, il problema della qualificazione del rapporto di telelavoro resta alla giurisprudenza in termini di lavoro "suppletivo" che contribuisce a plasmare e modellare l’ordinamento giuslaburistico italiano. C’è da scommettere che la giurisprudenza avrà un ruolo determinante anche nei prossimi anni, considerando che i disegni di legge attualmente al vaglio delle camere non tendono a disciplinare la materia del lavoro in termini unitari, ma guardano a singole fattispecie come quelle del telelavoro subordinato e parasubordinato. E’ evidente che l’attuale ristrutturazione del mercato del lavoro comporta il sorgere di nuove figure professionali la cui fioritura è indotta dallo sviluppo tecnologico continuo e inarrestabile. Lo sforzo di adattamento della disciplina esistente per disciplinare queste nuove figure non sempre è destinato a dare i suoi frutti e, in taluni casi, può rivelarsi insufficiente a dare una tutela adeguata ai lavoratori. Le stesse organizzazioni sindacali devono ripensare come organizzare la tutela di soggetti che, oltre a risiedere fisicamente e giuridicamente al di fuori della fabbrica, tendono a divenire una somma di lavoratori difficilmente aggregabili all’interno di una professione specifica e delle sue istanze unitarie di rappresentanza.

Alcune esperienze in Italia: Il caso della IBM Italia Ritorno all'Home page Il Telelavoro dal punto di vista giuridico: Il lavoro a domicilio